martedì 26 gennaio 2010

Se perdiamo la memoria

Immaginate che un giorno prendiate un colpo in testa (non è un augurio, per carità) e che per questo perdiate totalmente la memoria. Non sareste in grado di ricordare nulla: chi siete, cosa fate, chi sono le persone che vi circondano. Vita passata e presente cancellata. Dovrete ricominciare daccapo. Un gran bel problema.
La memoria delle cose passate è importante per costruire le cose future, per non ripetere gli errori già fatti, e per realizzare nuovi successi. Perdere la memoria significherebbe, dunque, reiniziare un processo cognitivo e applicativo che avevamo già avviato, e che ci stava conducendo verso nuovi e migliori percorsi. Ecco l'importanza della memoria. Non è solo una fotografia sbiadita del passato, ma rappresenta un faro per il futuro.

La memoria di per sé è un'arma che scaccia via i fantasmi del passato. Ma disinnescata può rappresentare un'arma ben più pericolosa, perchè a vantaggio di pochi e a svantaggio di tutti. Quale futuro potrà mai avverarsi se non fondato sui libri di storia? Un futuro senza memoria storica è come un palazzo senza fondamenta: crolla alla prima scossa. Ed è di nuovo da ricostruire.
Sembra che la società italiana attuale sia stata colpita da un'amnesia collettiva, e che ora si ragioni con argomenti del tutto scollegati dal passato, già giudicati e condannati dal processo storico. E non serve che sia passato tanto tempo per dimenticarsi di pagine anche buie della storia italiana. Come tangentopoli. Infatti negli ultimi giorni si sta tentando di riabilitare la figura di Bettino Craxi. Ma questo perchè? Perchè giustificare le malefatte di un importante politico del passato, significa giustificare tutte le malefatte dei politici attuali. Per questo è necessario dimenticare. Cancellare la memoria storica. E ciò può essere fatto solo con un uso pilotato dell'informazione. E' sempre lei. Ecco perchè negli ultimi giorni in televisione si è parlato poco dello scandalo tangetopoli e dell'inchiesta mani pulite quando si è ricordato il decennale della morte dell'ex Presidente del Consiglio. Si è parlato più della sua figura di "statista", lasciando un dubbio, un alone di mistero, intorno alle sue vicende giudiziare, e sul perchè è scappato dall'Italia. Così si salta una generazione, quella dei più giovani, i neoventenni, che non avendo vissuto queste vicende ignobili della Repubblica Italiana, non verranno mai a sapere come sono andati i fatti e chi era in realtà Craxi. E anche i più anziani, complice il trascorrere del tempo e le belle parole che la classe politica attuale spende per l'ex leader socialista, non avrà più tutte quelle remore nel considerare Craxi, in fin dei conti, un grande politico.

Ma non è tutto: l'operazione estingui-memoria non si limita solo a questo. Per questo la perdita della memoria è divenuta una emergenza. Sto parlando di un'altra memoria, una con la M maiuscola, ed è la Memoria che si celebra proprio oggi, nel Giorno della Memoria. Sappiamo tutti qual è la Memoria che non vogliamo e non dobbiamo assolutamente eliminare, ma nonostante ciò a questa Memoria vengono inflitti dei colpi terribili. La beatificazione di Pio XII (già ne ho parlato in precedenza) è un attacco gravissimo alla Memoria. E sembra che possa dare i suoi risultati visto che nessuno (oltre alla comunità ebraica che non può dimenticare) ha osato alzare la voce contro questo vergognoso atto. A cosa potrebbe servire una beatificazione del genere? Quali meriti si possono ascrivere a questo papa? La beatificazione rientra semplicemente nell'operazione di estinzione della Memoria, non solo dell'olocausto, ma della memoria generale; così se siamo riusciti a dimenticare una pagina storica del genere, saremmo capaci di dimentarci qualsiasi cosa.

Infine, sembra che siamo già riusciti a dimenticare un altro episodio storico che ci riguarda direttamente: quello delle emigrazioni di massa del popolo italiano che ha avuto inizio nel secolo XIX e si è protratto fino alla metà del secolo successivo. Il più grande esodo migratorio della storia moderna. Ce l'abbiamo solo noi. Un giorno i padri di chi oggi vuole cacciare l'immigrato sono andati a cercare fortuna all'estero, l'hanno trovata e hanno potuto mettere su famiglia e continuare la dinastia che ha dato luce all'attuale xenofobo. Uccidere la memoria, significa allora, uccidere noi stessi.

venerdì 15 gennaio 2010

I proletari del 2010


In merito agli episodi di Rosarno, forse a non tutti è chiara la vera entità del problema. Accendendo la tv, sfogliando i giornali e persino leggendo le notizie su internet, si parla principalmente degli aspetti razzisti della vicenda. E via con le solite e scontate condanne, con le solite banalità che da sempre contornano la questione del razzismo. Di razzismo si è trattato, è evidente, ma questo è il caso in cui un episodio grave aiuta a scoprirne uno ancora più grave. Anzi più che scoprire, a concentrare l'attenzione. Si tratta del dramma dello sfruttamento di migliaia di lavoratori immigrati che, giunti nel nostro Paese per sfuggire alla povertà, si ritrovano costretti a prestare la loro manodopera per miseri compensi, ed in condizioni ai limiti dell'accettabile. Senza alcuna tutela, senza alcuna garanzia. Sembra di ritrovarsi ai tempi del capitalismo selvaggio, quando l'uomo era considerato solo un fattore della produzione, e non importa di che colore sei o che lingua parli: l'importante è che produci. Ed è questa la linea seguita da chi offre lavoro agli immigrati, non solo nella piana di Rosarno, ma in tutto il Meridione nonchè nel Nord Italia.

Non dobbiamo dunque preoccuparci troppo del razzismo. Il razzismo è solo frutto di imbecillità, mentre lo sfruttamento è frutto di crudeltà. Quest'ultimo rappresenta uno stadio superiore e più pericoloso della sola xenofobia. Rappresenta consapevolezza della diversità e approfittarsi di essa. E' una realtà molto sviluppata che purtroppo non viene denunciata perchè ormai fa parte di un sistema. E' la norma. E ora, che in seguito ad episodi di violenza nei confronti dei numerosi immigrati, la difficile realtà è stata portata sotto la luce dei riflettori, si cerca ancora di ignorare, di fare gli indifferenti di fronte al sistema, e ci si infuria invece con il problema del razzismo, che l'Italia invece non ha ancora conosciuto sul serio, visto il numero relativamente basso di stranieri e immigrati rispetto agli altri Paesi europei. L'Italia a mio avviso, non è, o non è ancora, un Paese razzista.

Gli immigrati dunque sono i proletari del 2010. Lo sono perchè non hanno scelta. Preferiscono essere le vittime di un certo sistema di ingiustizia sociale, piuttosto che patire la fame e la miseria nel loro Paese d'origine, magari dilaniato da qualche guerra o controllato da un regime dispotico del dittatore di turno. Ma forse le vittime non sono solo loro. Perchè se i proletari piangono, di certo i capitalisti del 2010 non ridono. Anche loro non hanno scelta. Anche i proprietari dei campi di arance e mandarini che offrono lavoro agli immigrati sono a loro volta vittime di un sistema ancora più grande, e ancora più pericoloso. Costituito sempre dal libero mercato e dall'inerzia dell'operatore pubblico nell'attuare politiche dei prezzi a difesa dei produttori, che si impoveriscono nei confronti dei commercianti che rivendono i loro prodotti. E' la stessa storia del prezzo del grano e del prezzo della pasta. Il primo che scende e il secondo che sale. Situazioni difficili le stanno affrontando anche i produttori di latte, ma anche di olio e vino. Sembra l'inizio di una crisi agricola di cui ancora nessuno vuole parlare, eppure i segnali sono forti.
I problemi, dunque, della società italiana, sono altri e molto più gravi: e non mi venite a parlare di razzismo.