lunedì 30 novembre 2009

Tutto passa da qui

Siamo uno dei pochi Paesi al mondo che possono "vantare" due istituzioni differenti che esercitano la sovranità su un unico suolo. Una è l'autorità tipica statale che riscuote i tributi dalla popolazione per offrire servizi collettivi utili a raggiungere il benessere di tutti i consociati. L'altra è una associazione organizzata di individui, che intende avvicendarsi nel controllo del territorio all'autorità centrale, impegnandosi nella costruzione di una organizzazione di riferimento capace di gestire l'intera economia del territorio sottoposto a controllo e di offrire a chi se ne rivolge lavoro, stabilità e sicurezza. Questa organizzazione raggiunge i propri scopi senza crearsi troppi scrupoli, utilizzando anche il metodo dell'eliminazione dell'avversario. La direzione di questa organizzazione non si acquisisce con il diritto, ma attraverso la dimostrazione di forza. Signori e signori questa è la mafia. O, più in generale, la malavita organizzata.
La mafia è in competizione con lo Stato, la mafia tende a sostituirsi allo Stato, la mafia tende a fondersi con lo Stato.

La mafia è infatti nata per sopperire all'assenza dello Stato ne lmeridione d'Italia durante le rovinose dominazioni che si sono susseguite fin dall'istituzione del Regno di Sicilia. Proprio per via dell'assenza dell'autorità centrale alla quale la popolazione, che versava nella miseria potesse fare affidamento, sono nate questo tipo di organizzazioni sul territorio. E dal momento in cui si sono radicate e hanno creato le loro strutture, non hanno più cessato di esercitare il loro potere. Anche perchè sono state sottovalutate per troppo tempo. Quindi il concetto iniziale sembra ribaltarsi: non sono più le organizzazioni mafiose a doversi sostituire allo Stato, ma è quest'ultimo che deve anteporsi alle prime, anche e perchè la malavita organizzata trova sostegno nella popolazione che la considera l'unica e vera istituzione sulla quale contare per ottenere lavoro e ricchezza.

La mafia ha poi esteso il controllo anche all'interno delle strutture dell'altro potere, lo Stato, poichè è da lì che passano le decisioni che destinano le risorse di tutta la Nazione (e soprattutto i soldi di tutti gli italiani), ed è un centro di potere imprescindibile. Diversi politici hanno dunque ritenuto molto conveniente fare affari con questa associazione e soddisfare interessi personali grazie al radicato controllo sul territorio che essa esercita. Tutto passa dalla mafia. Gli appalti, il contrabbando di tabacchi e di armi, lo spaccio di droga. Ma non solo: per qualsiasi cosa ci vuole il permesso della mafia. Per aprirsi una attività commerciale. Per coltivare la terra. Per aprirsi uno stabilimento industriale. Fare affari con la mafia può essere molto remunerativo. In tanti, tantissimi uomini d'affari italiani si sono ritrovati a trattare con essa proprio perchè non ne potevano fare a meno, visto lo strapotere economico che poteva vantare.

Sradicare la mafia dalla società è una operazione molto difficile e impegnativa, ma può essere portata a termine. Solo se si pongono le condizioni per farlo. Ai nostri politici non conviene combattere la mafia perchè ne varrebbero i loro interessi particolari, ossia soldi e potere. E soldi e potere sono gli interessi dei mafiosi.

sabato 21 novembre 2009

Lo facciamo in Privato

C'è un argomento, un tema di discussione, una preoccupazione, per alcuni un pericolo, che i tradizionali mezzi di informazione non trattano, non riferiscono, di cui preferiscono non parlare. E' l'ascesa dell'operatore privato nelle istituzioni, nella società. Con ascesa in questo caso si definisce una nuova fiducia che i governanti intendono affidare ai privati, nel risolvere carenze di efficienza e di qualità nei servizi da destinare al pubblico. Ed è così che si sta parlando di privatizzazione dell'acqua, e di (celata, in questo caso, per via della pericolosità dell'intento) privatizzazione del sapere con la riforma dell'Università. Come se i privati fossero la cura a tutti mali, ma è chiaro anche a chi sostiene i benefici di tale cura che la guarigione attraverso essa è lontana, e gli intenti sono ben altri.

Che i servizi pubblici soffrano di carenze importanti, questo è assodato, infatti i problemi delle Università sono ben noti e gli stessi manifestanti protestano contro la riforma non certo per un mantenimento dello status quo, ma contro una politica che di certo non migliora la situazione del sistema universitario.
Anche per quanto riguarda il servizio di trasporto su ferrovia ci sono rilevanti carenze e disservizi, ma in questo caso la "Trenitalia" non è più una società completamente pubblica, ma vi sono le partecipazioni dei privati. Eppure poco sembra cambiato.
Ancora più irragionevole sembra essere il dl Ronchi sulla privatizzazione della gestione e della distribuzione dell'acqua. Mascherata come un obbligo comunitario, si è voluta affidare la gestione delle reti idriche, e quindi della proprietà di fatto dell'acqua, ad aziende private che saranno libere di imporre i prezzi. Il fatto che la proposta sia rientrata nel decreto legge "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari", sembra essere in controtendenza con quanto sta avvenendo invece a Parigi, e cioè la ripubblicizzazione dell'acqua, forse perchè la città si è ritrovata strangolata dai pesanti rincari dell'oro blu. Ciò è quanto è avvenuto anche nel comune di Latina, dove si è passati ad un regime privato dell'acqua già da diversi mesi e dove si sono registrati rincari di circa il 300%. Contro nessun miglioramento di efficienza nel servizio. Allora sarebbe utile riuscire a capire perchè attuare delle misure che vadano in questo senso. E la risposta, a mio avviso, è sempre legata a quella logica dei favoritismi ad amici, ed amici degli amici, che vedono concedersi la possibilità di lucrare sui beni di tutti.

Per quanto riguarda il riordino del sistema universitario,esso prevede una quota del 40% di "esterni" negli organi decisionali dell'Università. La nomina di tali esterni sarà affidata al rettore che avrà libertà di scelta sulle personalità da far rientrare nel Consiglio d'Amministrazione. Quest'ultimo delibererà sulle funzioni di indirizzo strategico, sul bilancio, e sull'attivazione o la soppressione dei corsi e delle sedi. E' ben chiaro che una componente privata delibererà non sulla base di valutazioni culturali, ma su esigenze di cassa e previsioni di profitto. Così da preferire corsi di laurea "fruttuosi" dal punto di vista economico, e non invece corsi (come Lettere, Filosofia, Sc. Politiche) nei quali investire non è proficuo, ma che contribuiscono d'altro canto a diffondere cultura e libertà di pensiero, mentre la classe politica vuole il cittadino-macchina che produce e sta al suo posto. Smantellare la cultura è il punto cardine per una politica che non vuole il dibattito, l'opposizione, i contrari, e tende a mantenere lo status quo, ossia l'egemonia dei politici sulla collettività.

Oltre alla libertà di pensiero e di informazione ci stanno togliendo, dunque, anche i beni primari come l'acqua e la formazione. Gli aspetti di questi provvedimenti cui ho parlato sono molto più articolati e ci sarebbe molto altro da dire. Ma cosa più grave è l'assenza di informazione nei media tradizionali i quali sono in mano alla bigotteria e all'ottusità della attuale classe politica che si trova di fronte le proteste di centinaia di migliaia di studenti, operai, membri della società civile che rivendicano ancora un po' di dignità nei confronti di chi li ignora.

sabato 7 novembre 2009

La crisi è in crisi

Ormai parlare di crisi è retrò. La ripresa si sta avvicinando, anzi è già cominciata, e un certo ottimismo si sta diffondendo tra la gente, convinta che il peggio sia alle spalle. Ma ottimista significa essere convinto di vincere una battaglia e non di essere convinto che una battaglia da combattere non esista... E' davvero superato il momento critico o siamo di fronte ad una ripresa "apparente"? Se cosi, perchè? La situazione attuale sembra essere di nuovo la stessa di poco più di un anno fa, quando ancora il termine "crisi" non era di uso quotidiano. E già si parla di un andamento a "W" del ciclo economico.

Confesso che se non mi fossi informato adeguatamente sull'argomento, anche io avrei cominciato a nutrire sentimenti di ottimismo verso una ripresa più che vicina, ma un'analisi della situazione attuale e della situazione di un anno fa, è riuscita a chiarire un intricato groviglio fatto di osservazioni di giornalisti, dichiarazioni di politici e quant'altro sulla vera natura della crisi economica, anzi più che economica, finanziaria. Questa è la prima precisazione da fare. Il problema è che si parla tanto di crisi, ma si sa ben poco su di essa. E ciò può dar luogo a tanti luoghi comuni ovvero a convinzioni più o meno sbagliate.

Ma allora cosa sta succedendo? E cosa è successo un autunno fa?

Avrete già sentito parlare di "bolla" e del suo scoppio, coincidente con l'inizio della crisi. La bolla si riferisce ad una situazione di estrema fiducia nei mercati con un conseguente aumento della concessione dei crediti, e così ad una successiva circolazione di denaro alla fine inesistente, questo anche grazie a strumenti finanziari ideati dalle banche per performare questo tipo di operazioni (vedi derivati). Questo è tutto ciò che concerne la finanza, e la finanza stava conoscendo prima dell'autunno 2008, un periodo notevolmente florido, specialmente quella poi ribattezzata "finanza creativa" (il nome già dice tutto); ad un certo punto però la bolla è scoppiata e ci si è resi conto che i soldi "finti" del mercato finanziario, non corrispondevano ai soldi reali. Questa è una semplificazione che credo colga nel segno l'inizio della crisi mondiale. Le crisi d'altro canto avvengono sempre dopo un periodo di boom (vedi 1929).

Ci si è ripresi da tutto ciò, questa è la verità senza ombra di dubbio. La situazione di crisi è passata, ma solo per quanto riguarda i mercati finanziari. Le borse conseguono rialzi da mesi, le obbligazioni statali vanno a ruba, e i derivati sono tornati ai livelli record del 2008. Persino il PIL piano piano comincia a risalire. Ma intanto l'economia reale è in affano: sempre più aziende chiudono, tantissime licenziano, e l'utilizzo della cassa integrazione è spropositato.
Grazie a cosa ci si è potuti riprendere dalla situazione drammatica in cui versava la finanza globale? Grazie al massiccio intervento degli Stati che grazie al denaro pubblico che hanno versato nel mercato, sono riusciti a risollevare le situazioni di risparmiatori e famiglie oltre che di imprenditori, manager, dirigenti e sistema borsistico tutto, il quale è ripartito in grande stile.
La situazione di una anno fa si sta ripetendo: listini in borsa a rialzo, banche che conseguono utili più alti di quelli del 2008 e distribuiscono ghiotti dividendi e laute gratifiche ai loro manager.

Beneficiando così di aiuti pubblici la finanza sta conoscendo ora un nuovo periodo di vivacità che potrebbe alimentare una nuova bolla. Questo specialmente perchè la netta divaricazione tra economia reale ed economia finanziaria è più evidente che mai, rischiando così una nuova tragedia dei mercati ancora e sempre in mano di speculatori e sporchi affaristi. Fino a quando non ci sarà un capillare controllo dei mercati da parte dell'autorià pubblica, la crescita e il benessere per tutti gli individui rimarrà soltanto scritto nei libri di economia politica neoclassica.

Riferimenti: Qui scoppia un'altra bolla - L'Espresso

domenica 1 novembre 2009

Riscoprire la democrazia

Non è mai facile parlare di democrazia. Questo forse perchè il senso del termine non è ancora bene inteso dai più. O perlomeno si tende sempre a dare interpretazioni personali del concetto di democrazia, ovvero interpretazioni al passo coi tempi. Come è giusto che sia. Adeguare, migliorare e perfezionare il concetto di democrazia a seconda delle esigenze della società è un dovere sacrosanto dei consociati stessi (e non solo della classe politica dirigente, che invece come sto per dirvi, è sempre propensa a fare il contrario).
Il problema è quando viene stravolto il senso del termine stesso. O meglio ne vengono (ab)usati i nobili connotati che risiedono nel suo significato, ai fini di attrarre il consenso tanto caro e indispensabile alla classe (casta) politica italiana.

Etimologicamente parlando il termine democrazia significa "governo del popolo", governo che avviene tramite il principio di maggioranza secondo il quale vengono deliberate le decisioni che dovranne essere rispettate da tutti i consociati, compresi quanti erano contrari alla deliberazione stessa. I critici della democrazia possono già qui muovere le loro perplessità sul reale beneficio della democrazia nella società. Che differenza c'è tra il governo di un monarca virtuoso e quello di una repubblica democratica che penalizza e colpisce i contrari? Ardui quesiti di scienza politica. Ammettiamo che è molto difficile che si manifesti un sovrano virtuoso che vada incontro alle esigente di tutti, dal momento che una grande concentrazione di potere è rischiosa per gli interessi della società tutta, e di chi in special modo, ha interessi in contrasto con il modo di pensare del sovrano. Una sufficiente "illuminazione" e filantropia dei regnanti, tale da non suscitare malesseri non troppo evidenti nella società, non è mai stata dimostrata dalla storia. Non ci resta che la via democratica.

In una democrazia indiretta (l'unica vera e propria democrazia applicabile nel mondo contemporaneo), tutti i cittadini sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti i quali delibereranno le decisioni che investiranno tutto il popolo. Ma il problema già riscontrato poche righe fa può ripetersi: che fare quando essi non siano virtuosi? Insomma, sarebbe facile rispondere che in fondo siamo noi che li abbiamo scelti. Ma in Italia invece non è così. Noi non scriviamo il nome di chi vogliamo. E questa è la prima anomalia della democrazia italiana. Inoltre, come fa un elettore a sapere con esattezza se il politico che intende eleggere è una persona sincera, che rispetta i suoi elettori, mantiene le promesse fatte, e si impegna per il bene comune? Non è intuibile tutto ciò nemmeno in campagna elettorale, momento cruciale durante il quale si forma la vera volontà dell'elettore, dati i diversi stratagemmi e abili trucchetti mediatico-commerciali, con i quali i politici si accalappiano i voti.

Ma allora, se nemmeno la democrazia può funzionare, come governare uno Stato?
Ci vorrebbe un depotenziamento della classe (casta) politica, della politica di "palazzo", a favore di una riappropriazione della politica da parte dell'intera collettività. I politici-dirigenti, dovrebbero ascoltare di più i politici-cittadini. La democrazia non si fa solo nel parlamento, ma la fanno anche le manifestazioni di piazza, le associazioni sindacali, i lavoratori licenziati che scioperano, gli studenti che protestano, i piccoli imprenditori che si lamentano. Tutti questi sono i naufraghi della democrazia italiana. Contano solo alle elezioni, quando questi naufraghi sperano di trovare l'appiglio per non annegare, e invece, si illudono soltanto e lentamente soccombono.
L'italino deve essere sempre più preoccupato della pericolosa deriva populista che stra prendendo il nostro Paese.