mercoledì 23 dicembre 2009

A Natale puoi...

Miracoli natalizi. Durante il periodo festivo tutto è possibile. Anche i deliri della politica. Anzi, quelli si intensificano perchè già presenti in tutto il corso dell'anno. Ma c'è un motivo: a Natale siamo tutti più buoni. Ed ecco arrivare il dialogo. Ed ecco la riappacificazione. Sarò stato profetico? Avevo annunciato questo pericolo proprio nell'intervento precedente. Quindi ecco vecchie salme della politica che resuscitano in nome di un accordo bipartisan sulle riforme, in nome di un dialogo che spazzi via il clima di odio che si è creato nel Paese. L'occasione è buona: l'aggressione a Berlusconi ha sdegnato l'opinione pubblica e ha fatto emergere il tema dell'odio, sul quale non può essere costruita la politica italiana. E poi il Natale è alle porte, e l'odio non ci sta tanto bene. Godiamoci l'effetto sedativo del Natale.

Chissà se dopo le abbuffate natalizie, dopo aver scartato i regali sotto l'albero, dopo aver brindato al nuovo anno, questo insostenibile clima di tensione non si sia stemperato e finalmente la politica torni ad occuparsi di ciò di cui si è sempre occupata: i proprio affari. Questo è quello che si augurano i soliti politici, le vecchie salme, i portatori sani di buonismo, i Re Magi del dialogo. Con tutte queste manifestazioni di piazza, con tutti questi giornali e blog e social network che dicono tante cose inopportune la gente si sta rendendo davvero pericolosa, troppo esigente, si eleva a ranghi inconsueti, e ciò non fa bene alla solita politica. Alla solita classe politica. Si spera nel Natale...

A Natale è possibile più di tutto questo, a Natale si va oltre l'immaginazione. A Natale ci sono i saldi. La svendita dello Stato è già cominciata prima con la riforma delle Università e poi con la privatizzazione dell'acqua. Ora si continua con la privatizzazione delle forze armate. Chissà se dopo non toccherà alla Giustizia o alla Sanità. Con una sorta di riforma Obama al contrario. Gli americani potrebbero presto ridere di noi. Già è davvero spiritoso che un governo di destra vendi il simbolo della potenza di una nazione a società private. Ma quando vieni a sapere che non è uno scherzo smetti di ridere. Già perchè anche le vecchie ideologie (già dannose di loro) sono state sacrificate a vantaggio dei consueti interessi particolari tanto cari ai nostri politici. Perchè è chiaro che una forza armata gestita da una spa non potrà più essere impiegata esclusivamente a salvaguardia delle esigenze nazionali. Perchè è davvero costosa. Costosissima. Solo se è proficuo. Solo se rende si potrà impiegare. Ecco al voi il business della guerra. Un business controllato dal Ministro della Difesa e dai suoi nominati (consiglieri d'amministrazione e dirigenti). Il tutto grazie ai soldi dei contribuenti. Niente più Parlamento (sulla cui funzionalità d'altro canto, si possono persino sollevare obiezioni). E pensate anche che nel decreto (ancora in fase di scrittura) è prevista anche la gestione di "sponsorizzazioni". Chissà cosa proveremo quando magari vedremo il nuovo caccia con la M del Mc'Donalds.

E non è finita qui, a Natale. Vorrei parlare ora di un'altro tema che non riguarda più la politica ma che per me è stato comunque motivo di indignazione. D'altronde si tratta di religione. E mi riferisco al decreto di beatificazione firmato da Benedetto XVI di papa Wojtyla e di papa Pio XII. Sono logiche interne di una organizzazione religiosa, che quindi non dovrebbero avere ripercussioni sui non aderenti, ma nemmeno sugli stessi fedeli poichè si tratta di mere certificazioni formali. Eppure questo decreto ha suscitato proteste e scalpore per via della beatificazione di Pio XII, un papa sul quale pende una oscura nube di connivenza con i regimi nazisti e gli insopportabili silenzi mantenuti nei confronti della Shoah. La comunità ebraica ha tutte le ragioni per esprimersi contraria, dal momento che si tratterebbe di un grave attacco alla memoria della strage, oltraggiata e non poco dai sempre più numerosi negazionisti. E allora a che serve indignarsi per il furto della scritta sul campo di sterminio di Auschwitz se sei un cattolico e permetti che le tue istituzioni religiose possano fare tutto ciò? A Natale è possibile anche questo.
Forse sono stato troppo duro sui temi trattati oggi e un po' lo ammetto, mi sarò lasciato trasportare dall'emotività, allontandomi da un profilo riflessivo e distaccato che ho sempre cercato di mantenere in tutti gli interventi. Ma che ci volete fare, è Natale...

martedì 15 dicembre 2009

O dio

Negli ultimi tempi stavamo già avvertendo la sensazione di un certo clima di tensione sociale molto intenso, trascinato (o provocato?) dal livore del dibattito politico. Le posizioni contrastanti si sono fatte sempre più distanti, gli atteggiamenti sempre più duri e i toni sempre più aspri. In poche parole si è creato odio. Ma è normale che questa componente debba rientrare nel confronto politico con le gravi implicazioni alle quali essa può portare e che alla fine ha portato? La risposta in fondo è no. Un sentimento come l'odio deve essere estraneo a certi ambiti. Ma è necessario che qualunque tipo di sentimento rimanga al di fuori della politica. La politica, è e deve rimanere una questione meramente tecnica: si esprime il consenso a favore di un progetto politico, ma non si può pretendere di amare o di adulare il portatore di tale progetto e nè di converso odiarlo e attaccarlo. Si può invece sostenere e criticare, contribuendo così all'arricchimento del dibattito e al raggiungimento così di soluzioni il più condivise possibili.

Chi pretende amore non può certo credere di non aspettarsi anche odio. E' dunque anomalo ritrovare in politica questi aspetti sentimentali, che tracciano un legame emotivo tra eletto ed elettore fino a giungere al vero e proprio fanatismo, alla vera e propria esasperazione. Un politico può godere di stima, di rispetto, di riconoscenza, ma non di amore. Conseguentemente potrà godere di disprezzo, di disistima e di critica, ma non di odio.

E il clima di forte tensione sociale è poi il risultato di chi gestisce la politica facendo leva sui sentimenti della gente. La società è così nettamente separata tra l'adulazione inspiegabilmente esaltata dei sostenitori di un personaggio politico e tra l'odio feroce ed irrazionale dei suoi detrattori. Il confronto si articola in questa maniera su posizioni preventive assunte dagli schieramenti senza adeguate riflessioni sugli argomenti. Se vogliamo essere più precisi, a queste condizioni c'è proprio l'impossibilità di avviare un vero confronto.
Si parlava di dialogo. Il dialogo è una bufala. Non esiste il dialogo nel dibattito politico. Perchè dialogo non è sinonimo di confronto. Il dialogo è uno scendere a patti. Significa accettare delle condizioni. Può rivelarsi una presa in giro. E' il confronto la vera esplicazione della politica. Presentare le diverse esigenze della società con le varie soluzioni possibili e indicare quale è la migliore da adottare. Il dialogo invece è il connubio tra gli affari dei politici.

I politici remano tutti nella stessa direzione e sono tutti padri di questo clima di tensione. Ma la deriva della politica italiana è anche rappresentata dalla volgarizzazione dei termini usati, e dagli insulti facili, così da avvicinare la politica agli ambienti più bassi e rudi trasformando il suddetto confronto in un tema affrontabile senza valide conoscenze e senza fermi argomenti e convinzioni, basta assicurarsi un discreto bagaglio di offese e rozzi improperi.
Di conseguenza chi possiede dei forti convincimenti, di idee e principi per i quali è disposto a scendere in piazza a protestare e a farsi sentire, viene malauguratamente identificato come l'espressione di odio e, nella peggiore delle ipotesi, incriminato di gesti aggressivi e violenti.

mercoledì 9 dicembre 2009

Io ho un'arma

Negli ultimi anni, ma soprattutto negli ultimi tempi, si sta verificando l'avanzata di una popolo armato, più deciso e combattivo che mai. Un popolo che intende scrollarsi di dosso le macerie della politica italiana e rivendica il suo ruolo di soggetto e non di oggetto delle decisioni pubbliche. Ignorato e talvolta stigmatizzato dai media tradizionali, ha trovato nella Rete la sua arma principale. L'arma che potrà renderlo invincibile. L'arma che potrà permettergli di amplificare il diritto di opinione, ciò che più teme la casta politica.

Grazie ai blog, ai social network, a piattaforme come youtube, tutti i cittadini sono e saranno sempre più in grado di esprimersi riguardo a particolari notizie in maniera larga e diffusa. Il cittadino diventerà così parte attiva ed operativa della società e del dibattito politico. Potrà non solo ricevere, ma anche dare. Potrà non solo subire l'informazione contraffatta dei media tradizionali, ma anche rispedirla al mittente. La comunicazione non sarà più intesa in modo unilaterale. La Rete è divenuta ormai l'ultima frontiera dell'informazione.
In principio fu la radio. Poi la televisione divenne la sua evoluzione, aggiungendo al sonoro anche il potente effetto delle immagini. Ora tocca ad Internet. Oltre a ricevere i contenuti multimediali, possiamo anche darli. Oltre a conoscere le notizie possiamo anche commentarle. Oltre a credere alle notizie possiamo anche smentirle. E così si crea una corretta informazione. La quale è alla base di una corretta conoscenza.

Il "Popolo viola" è un esempio lampante di gente armata di opinioni che lotta per sottrare la politica ad una casta precostituita e sorda agli interessi della gente, e che lotta per una corretta e seria informazione che tenga al corrente tutti i cittadini degli oscuri meccanismi di questa politica, e che li stimoli ad un sano e genuino interesse nel dibattito politico.
Il "Popolo viola" è il prodotto di una giusta informazione e di una coscienza critica.

La Rete è in grado non solo di fornire corretta informazione, ma anche di generare dibattiti intellettuali e culturali e di risvegliare il carattere creativo e propositivo del cittadino, assopito dopo anni di dominio televisivo. Ma è anche in grado di formare la coscienza critica, intesa come caratteristica fondamentale di un libero cittadino. Basta con la politica "di mestiere", distinta e separata dalle esigenze della società e fine solo agli interessi dei "soliti". Dei soliti politici da anni e dei soliti partiti che cambiano la sigla ma non la sostanza. Basta anche con il governo dei partiti, i quali si ergono a portatori di volontà popolari, ma al loro interno si trattano e si concludono gli affari dei potenti di turno. La società civile deve riuscire a riappropiarsi della politica.
E' bene non fare della politica un interesse di pochi.

lunedì 30 novembre 2009

Tutto passa da qui

Siamo uno dei pochi Paesi al mondo che possono "vantare" due istituzioni differenti che esercitano la sovranità su un unico suolo. Una è l'autorità tipica statale che riscuote i tributi dalla popolazione per offrire servizi collettivi utili a raggiungere il benessere di tutti i consociati. L'altra è una associazione organizzata di individui, che intende avvicendarsi nel controllo del territorio all'autorità centrale, impegnandosi nella costruzione di una organizzazione di riferimento capace di gestire l'intera economia del territorio sottoposto a controllo e di offrire a chi se ne rivolge lavoro, stabilità e sicurezza. Questa organizzazione raggiunge i propri scopi senza crearsi troppi scrupoli, utilizzando anche il metodo dell'eliminazione dell'avversario. La direzione di questa organizzazione non si acquisisce con il diritto, ma attraverso la dimostrazione di forza. Signori e signori questa è la mafia. O, più in generale, la malavita organizzata.
La mafia è in competizione con lo Stato, la mafia tende a sostituirsi allo Stato, la mafia tende a fondersi con lo Stato.

La mafia è infatti nata per sopperire all'assenza dello Stato ne lmeridione d'Italia durante le rovinose dominazioni che si sono susseguite fin dall'istituzione del Regno di Sicilia. Proprio per via dell'assenza dell'autorità centrale alla quale la popolazione, che versava nella miseria potesse fare affidamento, sono nate questo tipo di organizzazioni sul territorio. E dal momento in cui si sono radicate e hanno creato le loro strutture, non hanno più cessato di esercitare il loro potere. Anche perchè sono state sottovalutate per troppo tempo. Quindi il concetto iniziale sembra ribaltarsi: non sono più le organizzazioni mafiose a doversi sostituire allo Stato, ma è quest'ultimo che deve anteporsi alle prime, anche e perchè la malavita organizzata trova sostegno nella popolazione che la considera l'unica e vera istituzione sulla quale contare per ottenere lavoro e ricchezza.

La mafia ha poi esteso il controllo anche all'interno delle strutture dell'altro potere, lo Stato, poichè è da lì che passano le decisioni che destinano le risorse di tutta la Nazione (e soprattutto i soldi di tutti gli italiani), ed è un centro di potere imprescindibile. Diversi politici hanno dunque ritenuto molto conveniente fare affari con questa associazione e soddisfare interessi personali grazie al radicato controllo sul territorio che essa esercita. Tutto passa dalla mafia. Gli appalti, il contrabbando di tabacchi e di armi, lo spaccio di droga. Ma non solo: per qualsiasi cosa ci vuole il permesso della mafia. Per aprirsi una attività commerciale. Per coltivare la terra. Per aprirsi uno stabilimento industriale. Fare affari con la mafia può essere molto remunerativo. In tanti, tantissimi uomini d'affari italiani si sono ritrovati a trattare con essa proprio perchè non ne potevano fare a meno, visto lo strapotere economico che poteva vantare.

Sradicare la mafia dalla società è una operazione molto difficile e impegnativa, ma può essere portata a termine. Solo se si pongono le condizioni per farlo. Ai nostri politici non conviene combattere la mafia perchè ne varrebbero i loro interessi particolari, ossia soldi e potere. E soldi e potere sono gli interessi dei mafiosi.

sabato 21 novembre 2009

Lo facciamo in Privato

C'è un argomento, un tema di discussione, una preoccupazione, per alcuni un pericolo, che i tradizionali mezzi di informazione non trattano, non riferiscono, di cui preferiscono non parlare. E' l'ascesa dell'operatore privato nelle istituzioni, nella società. Con ascesa in questo caso si definisce una nuova fiducia che i governanti intendono affidare ai privati, nel risolvere carenze di efficienza e di qualità nei servizi da destinare al pubblico. Ed è così che si sta parlando di privatizzazione dell'acqua, e di (celata, in questo caso, per via della pericolosità dell'intento) privatizzazione del sapere con la riforma dell'Università. Come se i privati fossero la cura a tutti mali, ma è chiaro anche a chi sostiene i benefici di tale cura che la guarigione attraverso essa è lontana, e gli intenti sono ben altri.

Che i servizi pubblici soffrano di carenze importanti, questo è assodato, infatti i problemi delle Università sono ben noti e gli stessi manifestanti protestano contro la riforma non certo per un mantenimento dello status quo, ma contro una politica che di certo non migliora la situazione del sistema universitario.
Anche per quanto riguarda il servizio di trasporto su ferrovia ci sono rilevanti carenze e disservizi, ma in questo caso la "Trenitalia" non è più una società completamente pubblica, ma vi sono le partecipazioni dei privati. Eppure poco sembra cambiato.
Ancora più irragionevole sembra essere il dl Ronchi sulla privatizzazione della gestione e della distribuzione dell'acqua. Mascherata come un obbligo comunitario, si è voluta affidare la gestione delle reti idriche, e quindi della proprietà di fatto dell'acqua, ad aziende private che saranno libere di imporre i prezzi. Il fatto che la proposta sia rientrata nel decreto legge "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari", sembra essere in controtendenza con quanto sta avvenendo invece a Parigi, e cioè la ripubblicizzazione dell'acqua, forse perchè la città si è ritrovata strangolata dai pesanti rincari dell'oro blu. Ciò è quanto è avvenuto anche nel comune di Latina, dove si è passati ad un regime privato dell'acqua già da diversi mesi e dove si sono registrati rincari di circa il 300%. Contro nessun miglioramento di efficienza nel servizio. Allora sarebbe utile riuscire a capire perchè attuare delle misure che vadano in questo senso. E la risposta, a mio avviso, è sempre legata a quella logica dei favoritismi ad amici, ed amici degli amici, che vedono concedersi la possibilità di lucrare sui beni di tutti.

Per quanto riguarda il riordino del sistema universitario,esso prevede una quota del 40% di "esterni" negli organi decisionali dell'Università. La nomina di tali esterni sarà affidata al rettore che avrà libertà di scelta sulle personalità da far rientrare nel Consiglio d'Amministrazione. Quest'ultimo delibererà sulle funzioni di indirizzo strategico, sul bilancio, e sull'attivazione o la soppressione dei corsi e delle sedi. E' ben chiaro che una componente privata delibererà non sulla base di valutazioni culturali, ma su esigenze di cassa e previsioni di profitto. Così da preferire corsi di laurea "fruttuosi" dal punto di vista economico, e non invece corsi (come Lettere, Filosofia, Sc. Politiche) nei quali investire non è proficuo, ma che contribuiscono d'altro canto a diffondere cultura e libertà di pensiero, mentre la classe politica vuole il cittadino-macchina che produce e sta al suo posto. Smantellare la cultura è il punto cardine per una politica che non vuole il dibattito, l'opposizione, i contrari, e tende a mantenere lo status quo, ossia l'egemonia dei politici sulla collettività.

Oltre alla libertà di pensiero e di informazione ci stanno togliendo, dunque, anche i beni primari come l'acqua e la formazione. Gli aspetti di questi provvedimenti cui ho parlato sono molto più articolati e ci sarebbe molto altro da dire. Ma cosa più grave è l'assenza di informazione nei media tradizionali i quali sono in mano alla bigotteria e all'ottusità della attuale classe politica che si trova di fronte le proteste di centinaia di migliaia di studenti, operai, membri della società civile che rivendicano ancora un po' di dignità nei confronti di chi li ignora.

sabato 7 novembre 2009

La crisi è in crisi

Ormai parlare di crisi è retrò. La ripresa si sta avvicinando, anzi è già cominciata, e un certo ottimismo si sta diffondendo tra la gente, convinta che il peggio sia alle spalle. Ma ottimista significa essere convinto di vincere una battaglia e non di essere convinto che una battaglia da combattere non esista... E' davvero superato il momento critico o siamo di fronte ad una ripresa "apparente"? Se cosi, perchè? La situazione attuale sembra essere di nuovo la stessa di poco più di un anno fa, quando ancora il termine "crisi" non era di uso quotidiano. E già si parla di un andamento a "W" del ciclo economico.

Confesso che se non mi fossi informato adeguatamente sull'argomento, anche io avrei cominciato a nutrire sentimenti di ottimismo verso una ripresa più che vicina, ma un'analisi della situazione attuale e della situazione di un anno fa, è riuscita a chiarire un intricato groviglio fatto di osservazioni di giornalisti, dichiarazioni di politici e quant'altro sulla vera natura della crisi economica, anzi più che economica, finanziaria. Questa è la prima precisazione da fare. Il problema è che si parla tanto di crisi, ma si sa ben poco su di essa. E ciò può dar luogo a tanti luoghi comuni ovvero a convinzioni più o meno sbagliate.

Ma allora cosa sta succedendo? E cosa è successo un autunno fa?

Avrete già sentito parlare di "bolla" e del suo scoppio, coincidente con l'inizio della crisi. La bolla si riferisce ad una situazione di estrema fiducia nei mercati con un conseguente aumento della concessione dei crediti, e così ad una successiva circolazione di denaro alla fine inesistente, questo anche grazie a strumenti finanziari ideati dalle banche per performare questo tipo di operazioni (vedi derivati). Questo è tutto ciò che concerne la finanza, e la finanza stava conoscendo prima dell'autunno 2008, un periodo notevolmente florido, specialmente quella poi ribattezzata "finanza creativa" (il nome già dice tutto); ad un certo punto però la bolla è scoppiata e ci si è resi conto che i soldi "finti" del mercato finanziario, non corrispondevano ai soldi reali. Questa è una semplificazione che credo colga nel segno l'inizio della crisi mondiale. Le crisi d'altro canto avvengono sempre dopo un periodo di boom (vedi 1929).

Ci si è ripresi da tutto ciò, questa è la verità senza ombra di dubbio. La situazione di crisi è passata, ma solo per quanto riguarda i mercati finanziari. Le borse conseguono rialzi da mesi, le obbligazioni statali vanno a ruba, e i derivati sono tornati ai livelli record del 2008. Persino il PIL piano piano comincia a risalire. Ma intanto l'economia reale è in affano: sempre più aziende chiudono, tantissime licenziano, e l'utilizzo della cassa integrazione è spropositato.
Grazie a cosa ci si è potuti riprendere dalla situazione drammatica in cui versava la finanza globale? Grazie al massiccio intervento degli Stati che grazie al denaro pubblico che hanno versato nel mercato, sono riusciti a risollevare le situazioni di risparmiatori e famiglie oltre che di imprenditori, manager, dirigenti e sistema borsistico tutto, il quale è ripartito in grande stile.
La situazione di una anno fa si sta ripetendo: listini in borsa a rialzo, banche che conseguono utili più alti di quelli del 2008 e distribuiscono ghiotti dividendi e laute gratifiche ai loro manager.

Beneficiando così di aiuti pubblici la finanza sta conoscendo ora un nuovo periodo di vivacità che potrebbe alimentare una nuova bolla. Questo specialmente perchè la netta divaricazione tra economia reale ed economia finanziaria è più evidente che mai, rischiando così una nuova tragedia dei mercati ancora e sempre in mano di speculatori e sporchi affaristi. Fino a quando non ci sarà un capillare controllo dei mercati da parte dell'autorià pubblica, la crescita e il benessere per tutti gli individui rimarrà soltanto scritto nei libri di economia politica neoclassica.

Riferimenti: Qui scoppia un'altra bolla - L'Espresso

domenica 1 novembre 2009

Riscoprire la democrazia

Non è mai facile parlare di democrazia. Questo forse perchè il senso del termine non è ancora bene inteso dai più. O perlomeno si tende sempre a dare interpretazioni personali del concetto di democrazia, ovvero interpretazioni al passo coi tempi. Come è giusto che sia. Adeguare, migliorare e perfezionare il concetto di democrazia a seconda delle esigenze della società è un dovere sacrosanto dei consociati stessi (e non solo della classe politica dirigente, che invece come sto per dirvi, è sempre propensa a fare il contrario).
Il problema è quando viene stravolto il senso del termine stesso. O meglio ne vengono (ab)usati i nobili connotati che risiedono nel suo significato, ai fini di attrarre il consenso tanto caro e indispensabile alla classe (casta) politica italiana.

Etimologicamente parlando il termine democrazia significa "governo del popolo", governo che avviene tramite il principio di maggioranza secondo il quale vengono deliberate le decisioni che dovranne essere rispettate da tutti i consociati, compresi quanti erano contrari alla deliberazione stessa. I critici della democrazia possono già qui muovere le loro perplessità sul reale beneficio della democrazia nella società. Che differenza c'è tra il governo di un monarca virtuoso e quello di una repubblica democratica che penalizza e colpisce i contrari? Ardui quesiti di scienza politica. Ammettiamo che è molto difficile che si manifesti un sovrano virtuoso che vada incontro alle esigente di tutti, dal momento che una grande concentrazione di potere è rischiosa per gli interessi della società tutta, e di chi in special modo, ha interessi in contrasto con il modo di pensare del sovrano. Una sufficiente "illuminazione" e filantropia dei regnanti, tale da non suscitare malesseri non troppo evidenti nella società, non è mai stata dimostrata dalla storia. Non ci resta che la via democratica.

In una democrazia indiretta (l'unica vera e propria democrazia applicabile nel mondo contemporaneo), tutti i cittadini sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti i quali delibereranno le decisioni che investiranno tutto il popolo. Ma il problema già riscontrato poche righe fa può ripetersi: che fare quando essi non siano virtuosi? Insomma, sarebbe facile rispondere che in fondo siamo noi che li abbiamo scelti. Ma in Italia invece non è così. Noi non scriviamo il nome di chi vogliamo. E questa è la prima anomalia della democrazia italiana. Inoltre, come fa un elettore a sapere con esattezza se il politico che intende eleggere è una persona sincera, che rispetta i suoi elettori, mantiene le promesse fatte, e si impegna per il bene comune? Non è intuibile tutto ciò nemmeno in campagna elettorale, momento cruciale durante il quale si forma la vera volontà dell'elettore, dati i diversi stratagemmi e abili trucchetti mediatico-commerciali, con i quali i politici si accalappiano i voti.

Ma allora, se nemmeno la democrazia può funzionare, come governare uno Stato?
Ci vorrebbe un depotenziamento della classe (casta) politica, della politica di "palazzo", a favore di una riappropriazione della politica da parte dell'intera collettività. I politici-dirigenti, dovrebbero ascoltare di più i politici-cittadini. La democrazia non si fa solo nel parlamento, ma la fanno anche le manifestazioni di piazza, le associazioni sindacali, i lavoratori licenziati che scioperano, gli studenti che protestano, i piccoli imprenditori che si lamentano. Tutti questi sono i naufraghi della democrazia italiana. Contano solo alle elezioni, quando questi naufraghi sperano di trovare l'appiglio per non annegare, e invece, si illudono soltanto e lentamente soccombono.
L'italino deve essere sempre più preoccupato della pericolosa deriva populista che stra prendendo il nostro Paese.

domenica 25 ottobre 2009

Che brutto mestiere quello del politico

E già, è davvero un duro lavoro fare il politico. Lo è sempre stato, ma oggi ancora di più, soprattutto se non hai più argomenti, non hai più la fiducia del popolo, non hai più soluzioni, non hai più passione, non hai più buon senso, non hai più preparazione, e non ultimo, hai una vita privata che non passa più per i binari del buon costume. E' questa la politica italiana. E sapete perchè è ancora più dura? Perchè bisogna fare i conti anche con la propria coscienza e con la propria dignità. Ma questo potrebbe non essere un grande problema. I politici di oggi ormai si sono dimenticati cos'è la coscienza e dove abita la dignità.


Prendo spunto dalla vicenda-scandalo che ha coinvolto il presidente della Regione Lazio Marrazzo. E parlando di lui posso dire che ancora non si è perso quel minimo di dignità. Marrazzo ha saputo riconoscere i suoi sbagli e ritornare indietro. Ha saputo subire gli effetti dei suoi vizi e riconoscerli. Ha saputo ammettere gli sbagli e pagarne le conseguenze. Ha saputo annientarsi. Tutto ciò faceva parte della sua vita privata. Con la coscienza del politico, ha saputo portare i risvolti di vicende private, in una dimensione pubblica. Perchè lui è di questo che si occupa, del pubblico. Ma ora basta. La coscienza di un politico dovrebbe pensare di non meritare più un certo incarico. Ma ormai tutti i politici credono di essere all'altezza del ruolo che occupano. Perchè non rispondono più ad una coscienza .


Ma non è finito qui il duro lavoro di un politico. Perchè oltre a rinunciare a coscienza e dignità, il politico deve riuscire anche ad essere subdolo. Deve riuscire a negare l'evidenza, a schierarsi a favore di qualcosa cui è sempre stato contro, di prendere decisioni di convenienza. Ed è questo il mestiere che volenti o nolenti sono costretti a fare tutti quelli che stanno urlando le dimissioni di Marrazzo, incoerentemente con la simile situazione con la quale dovrebbero fare i conti. E chi ne fa le spese è sempre la collettività che si vede presa in giro da un gioco al quale non le è consentito partecipare. E alla collettività toccherebbe riappropiarsi di un sentimento di sdegno nei confronti dei politici che li rappresentano. Provare sdegno significa sentirsi colpita la propria dignità e manifestare così di averla. I politici non possono provare sdegno se non hanno dignità. Il popolo, per via di questa mancanza, è tenuto a provarne. Sdegnamoci degli indegni.

venerdì 16 ottobre 2009

Il diritto ad Internet


Il diritto all'informazione ed alla libertà di espressione sta per raggiungere una nuova frontiera. Nel caso della Finlandia l'ha già raggiunta. Nel caso del nostro Paese siamo ancora lontani anni luce da questa frontiera. Sto parlando del diritto di accesso alla Rete, la più grande banca di informazioni in tutto il mondo, e il mezzo più facile con cui ogni essere umano può far valere la sua libertà di espressione.

In Italia non ancora riusciamo a godere appieno di questo diritto. Sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda la copertura dell'ADSL sul territorio italiano, ma per quanto riguarda la velocità di connessione siamo ancora indietro. Ma non è questo il punto. La questione dell'accesso ad Internet nel nostro Paese è ancora considerata come una opportunità e non come un diritto. Accedere ad Interet non è uguale a "tempo libero", così come non è solo tempo libero guardare la televisione. Dalla televisione reperiamo informazioni, cultura, soluzioni. Dalla nostra televisione purtroppo sempre meno però. L'unico inconveniente è che dalla televisione la trasmissione è unilaterale. Possiamo solo ricevere. Mentre con Internet possiamo anche dare. Dare non solo nel senso di contribuire, ma anche e soprattutto nel senso di correggere, modificare, aggiungere.

Internet è il futuro (e già il presente!) della società. Così come la televisione è stata il futuro della società della passata generazione. Ed il futuro si sa è evoluzione e miglioramento. E bisogna andare incontro a questa evoluzione. A tutti deve essere data la possibilità di accedere ad Internet gratuitamente. Perchè informarsi ed esprimersi è un diritto, ed un diritto non può essere "comprato". Otretutto perchè l'offerta di questo servizio, non è molto onerosa dal momento che grazie al WiMAX (nuova tecnologia che permette una connessione velocissima senza fili) basta un antenna per collegare ad Internet un comune di migliaia di abitanti. Naturalmente il tutto viene fatto passare attraverso un sistema di concessioni per l'utilizzo delle frequenze attraverso il quale diverse società si impadroniscono dell'etere con la complicità dello Stato, e ce lo fanno pagare.

Ma non si deve fare qualcosa solo per la gratuità. La lotta per l'emancipazione della Rete va condotta anche con la promozione di essa. La sua diffusione va allargata a tutti con l'universalità del servizio, ossia come ho già detto con la copertura globale di tutto il territorio, abbattendo dunque il digital divide (divario tra chi può usufruire di nuove tecnologie e chi no), ma anche con una promozione vera e propria di incoraggiamento all'uso di essa in special modo nei confronti di chi non è ancora pratico con il pc, o è scettico verso la Rete. Questo era il secondo punto. Oltre a non essere promossa, la Rete è addirittura osteggiata, e cioè non è garantita (o si prevede di non poter garantire) la piena libertà nel suo utilizzo, e mi riferisco al disegno di legge che vuole paragonare i blog a delle testate giornalistiche (e quindi vuole sottoporli ad un controllo), e alla disciplina del file-sharing. Ma di quest'ultimo ne parlerò in seguito.

Internet si sa, può fare paura ai politici perchè è fonte di opinioni e le opinioni sono anche critiche; è fonte anche di informazione corretta, e le informazioni corrette sono anche critiche fondate e giuste, e queste fanno ancora più paura.

Dobbiamo riappropriarci dei nostri diritti di informazione ed espressione e Internet sicuramente sarà l'arma con la quale ci riusciremo. Dobbiamo ambire alla conquista di una vera e propria cittadinanza digitale.

martedì 13 ottobre 2009

Il grande imbroglio


Sono arrivato a chiedermi il perchè. Anche se il perchè lo sapevo. E' solo che è tutto così incredibilmente ingiusto. Lo scudo fiscale è stato approvato dal Parlamento lo scorso 2 ottobre con venti voti di scarto tra favorevoli e contrari. I deputati assenti nell'opposizione erano ben 32, molti di più della soglia che permetteva a questo decreto legge di non essere convertito. Ma la situazione è più curiosa, o più disgutosa, a seconda delle impressioni. Il governo vi aveva posto la questione di fiducia, ciò sta a significare che se la legge non fosse stata approvata, il governo sarebbe caduto. E' strano non cogliere un'occasione di queste al volo. Soprattutto perchè una vera opposizione si presume che faccia il suo lavoro di opposizione, e si proponga come forza alternativa a quella presente. Invece non è così. E dall'inizio non è così.

Ecco svelato il grande imbroglio della democrazia italiana. Sono tutti d'accordo. Altrimenti qualcosa cambierebbe. Si sente sempre più gente dire " destra e sinistra sono la stessa cosa". Non è vero, perchè destra e sinistra non sono la stessa cosa. Sono i politici di destra e sinistra che sono la stessa cosa. Tutti lì per tenersi strette le poltrone. Nessun politico agisce più per l'interesse dei cittadini. Prima viene il proprio interesse, e poi, in seconda battuta, se non è troppo sacrificante, ci si occupa dell'interesse pubblico con esemplari manovre populiste, fatte di slogan e dichiarazioni altisonanti, per dare l'impressione al popolo che le isitituzioni siano in moto.

E non c'è nessuno che ci difende dal grande imbroglio, solo noi cittadini possiamo farlo. Ma non verremo mai ascoltati, le nostre manifestazioni saranno bandite, i media ci ignoreranno.

A tutti conviene il grande imbroglio tranne che a noi. Siamo dentro la grende Repubblica delle banane. Ma noi non siamo le scimmie.

giovedì 8 ottobre 2009

Più uguale degli altri

Ad un certo punto ho avuto addirittura paura. Ma mi sono imposto di riflettere per bene e convincermi che non poteva andare diversamente. Il Lodo Alfano doveva essere bocciato. Qui non si tratta di interpretare la Carta Costituzionale e compararla con il testo di legge considerato illegittimo. Qui si tratta si saper leggere. La Consulta alla fine ci è riuscita. Il Presidente della Repubblica evidentemente no. E meno male che sappiamo"da che parte sta". Eppure l'articolo 3 parla chiaro: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali." Un articolo che è presente in tutte le costituzioni dei Paesi democratici. Nei telegiornali si è sentito parlare di questa violazione dell'articolo 3, ma alla fine cosa tratta questo benedetto articolo 3 non l'ha detto nessuno. Forse si presume che tutti conoscano la legge fondamentale della nostra repubblica. Mi piacerebbe pensarlo, ma preferisco non vivere nelle illusioni.
Se tutti quanti avessimo letto per bene la Costituzione, allora ci accorgeremmo che alcune affermazioni del Presidente del Consiglio sono totalmente infondate e fuorvianti. Cosa significa "mi ha eletto il popolo, esigo rispetto"? Si sente legittimato a non essere sottoposto a giudizio dal momento che è stato eletto? Le elezioni non indicano se un politico può o meno essere processato. Le elezioni incaricano una determinata persone di svolgere un lavoro per la collettività. Ed essere processato rientra in questo lavoro. D'altronde l'art.1 della Costituzione sancisce: "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." La Costituzione ha posto un limite. L'uguaglianza. Non c'è sovranità popolare che tenga. Affinchè ci sia un popolo è bene che ci sia ugualianza. L'uguaglianza è condizione necessaria di un popolo.

E non è tutto: il popolo non elegge il premier, che per questo non si dovrebbe chiamare nemmeno premier. Il premier è la figura del primo ministro britannico che è eletto direttamente dal popolo. Nel nostro sistema politico il primo ministro non è eletto dal popolo. Il popolo elegge il Parlamento. Ossia l'assemblea collegiale che comprende esponenti di tutti gli schieramenti che hanno ottenuto un certo numero di voti alle elezioni. E' prassi che il Presidente della Repubblica nomini il candidato che ha ricevuto più voti, ma quest'ultimo deve sempre ricevere la fiducia Parlamento per poter governare. Tutto ciò è contenuto negli articoli 92 "Il presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i Ministri" e 94 "Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere".

Tutto scritto da 60 anni. Nulla di nuovo.

Ma il peggio lo abbiamo sentito ieri. Un vero e proprio funambolismo semantico da parte dell'on. Niccolò Ghedini, e legale di Silvio Berlusconi. "La legge è uguale per tutti, ma non la sua applicazione". Devo ammettere che queste parole all'inizio mi hanno disorientato, stavo quasi per crederci. La spiegazione poi l'ha data il Times: "Come il doppio pensiero di Orwell" ; chi ha letto 1984 si ricorderà di slogan come " la guerra è pace", "la libertà è schiavitù", "l'ignoranza è forza". Ma il riferimento di Ghedini è più palese nell'altro romanzo di Orwell, "La fattoria degli animali" nel quale il motto "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri", sembra essere quello più adatto per descrivere la situazione che si è venuta a verificare (che si stava verificando, grazie al cielo!) nel nostro Paese.

martedì 6 ottobre 2009

Lo do o non Lo do


"Disposizione in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato". E' questo il nome della legge dello Stato italiano comunemente conosciuta come Lodo Alfano. Taluni considerano erroneamente conosciuta come Lodo Alfano, dal momento che il termine lodo indica una "soluzione arbitrale" o "un compromesso tra le parti", e non una legge. Sulla definizione non voglio dilungarmi. Ho persino provato a fare una ricerca sul termine lodo e non sono riuscito a cavarne un ragno dal buco. Ma non è questo il punto.

Cercherò di spiegare effettivamente cos'è il Lodo Alfano, perchè è sotto il giudizio della Corte Costituzionale, e dirò quali decisioni potrebbe prendere la Corte. Tutto questo perchè nei tradizionali media nulla di tutto ciò è spiegato con rigore, se casomai è spiegato.


C'è tanto da dire, cercherò di essere sintetico.


Il Lodo Alfano, è la legge 124/2008 approvata dal Parlamento italiano il 22 luglio 2008 e promulgata dal Presidente della Repubblica. Il disegno di legge è stato presentato dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano, ecco perchè è detto Lodo Alfano. Il testo di tale legge è molto semplice: consiste in un unico articolo di 8 commi. Esso prevede la sospensione dei processi penali alle quattro più alte cariche dello Stato. Esse sono (in ordine): Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, Presidente del Consiglio. La sospensione dei processi opera fino al termine della carica. Tutto ciò "con l'obiettivo di tutelare l'esigenza assoluta della continuità e regolarità dell'esercizio delle più alte cariche dello Stato" spiega il consiglio dei ministri che lo ha approvato.


Ebbene queste sono le caratteristiche della legge. Ogni legge però potrebbe essere in contrasto con la legge fondamentale dello Stato, che è la Costituzione. L'organo che decide se una legge è incostituzionale è la Corte Costituzionale, detta anche Consulta, per via del nome del palazzo dove risiede. La Corte è composta da 15 membri: 5 scelti dal Presidente della Repubblica, 5 eletti dalle più alte Magistrature (Corte dei Conti, Cassazione, ecc...) e 5 sono eletti dal Parlamento.


La questione di legittimità costituzionale (il fatto se una legge non è costituzionale) può sorgere in via incidentale, ossia durante un altro processo. Funziona così: dei giudici che stanno esaminando un caso, si scontrano con una legge, ritenuta incostituzionale, che impedisce loro di emanare una sentenza. Nel caso concreto del nostro Lodo Alfano, tre sono state le questioni di incostituzionalità sollevate. Tutte e tre sono sorte da processi che riguardano il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quarta carica dello Stato, che può dunque avvalersi del Lodo.


La prima è stata sollevata dai giudici della prima sezione del tribunale di Milano che stavano tenendo il processo sulle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi da parte di Mediaset.


La seconda è stata sollevata dalla decima sezione del tribunale di Milano che stavano indagando sul caso Mills condannato per corruzione in atti giudiziari. Berlusconi, ritenuto coimputato di Mills, non è stato condannato per via del Lodo Alfano.


Il terzo ricorso è stato presentanto dal gip (giudice per le indagini preliminari) di Roma che stava esaminando il caso di corruzione di senatori nella scorsa legislatura, da parte sempre del Premier.


Le decisioni della Corte in merito alle questioni di illegittimità costituzionale sollevate possono essere di rigetto o di accoglimento. Con la prima , la questione sollevata viene respinta e la legge impugnata (Lodo Alfano, nel nostro esempio) continua ad essere considerata costituzionalmente valida. Con la seconda, la questione viene accolta e la legge impugnata è annullata e ritenuta invalida. Le sentenze di accoglimento, però, possono essere solo parziali, ossia riguardare solo una parte della legge, additive, perchè non comprendono parti che sarebbe costituzionalmente necessario prevedere, o sostitutive, perchè la legge prevede una cosa anzichè un'altra che invece la Costituzione conviene corretta. In questi tre casi la legge è sempre ritenuta illegittima, ma può essere corretta e riscritta secondo queste indicazioni espresse dalla Corte.


Nel nostro esempio: la Corte può accogliere completamente la questione: il Lodo Alfano è incostituzionale e non può essere modificato nè riscritto, la Corte può considerare che un certo comma della legge non è valido costituzionalmente, mentre il resto si. La legge può essere allora "aggiustata", con la modifica o l'omissione, di quel comma. Ancora la Corte può ritenere che non solo le prime cariche debbano essere coperte dal Lodo ma tutti i parlamentari e i ministri: sentenza d'accoglimento additiva. E così via.


La Corte nell'esprimere le sue decisioni, cerca sempre di avere un parere unanime. Nel caso del nostro Lodo la decisione sarà difficile, visto che sembra che sia spaccata e la decisione sarà presa con una votazione che molto probabilmente vedrà uno scarto minimo di voti.


Questo è tutto. Ora dovreste avere le idee più chiare, e conoscere anche un po' di nozioni del diritto pubblico che non fanno mai male.


Questo è tutto ciò che avreste voluto sapere sul Lodo Alfano, ma che i telegiornali non hanno mai osato dirvi.


Aspettiamo la decisione della Consulta per i commenti.

sabato 3 ottobre 2009

Libera parola in libero Stato

Checchè ne dica l'articolo 21 della Costituzione italiana, la libertà di espressione e di stampa nel nostro Paese è imbavagliata e fortemente influenzata dal potere politico. Lo dico perchè me ne accorgo. Me ne accorgo dal momento che programmi come "Annozero", "Parla con me" e "L'infedele" vengono condannati per i loro contenuti; in questo caso non intendo difendere la validità di tali contenuti, ma intendo difendere il fatto che se ne parli. Questa è libertà di espressione. Non è libertà aprire un'istruttoria. Non è libertà chiudere i programmi. Non è libertà epurare qualcuno dalle reti televisive. Non era libertà l'editto bulgaro. L'emergenza della libertà di espressione risale sin da allora. Dal 2002. Sette anni senza libertà. Mi accorgo dell'assenza di libertà di informazione se seguo anche per due minuti un telegiornale. Mi accorgo che non danno più le notizie. O nel migliore (o peggiore) dei casi le stravolgono. Non viene più considerato il cittadino. Il cittadino che protesta, si organizza, si fa sentire. Non vengono più fatte le domande ai politici. Il politico si limita a fare la sua dichiarazione e ad attacare il nemico al fine di tenersi stretta la poltrona. Non viene più ascoltato il cittadino.


Mi sono accorto che i telegiornali partono subito con i commenti dei politici, dedicano ampio spazio ad uno sterile botta e risposta tra le parti in contrasto che dicono entrambe in modo giusto la cosa sbagliata. Mi sono accorto che i telegiornali lasciano poi un breve (brevissimo) spazio a quella manifestazione di cittadini, a quel corteo di protesta, a quel picchetto di lavoratori che vogliono e chiedono qualcosa dai loro rappresentanti. Mi sono accorto che un telegiornale italiano è tutto sbagliato. Mi sono accorto che prima devono essere riportate le domande e le richeste dei cittadini (i rappresentati) e poi devono essere mandate le risposte dei politici (i rappresentanti). I politici devono sentire il peso del loro incarico, invece siamo noi cittadini che sentiamo il peso della loro carica! Mi sono accorto che questo non è giusto.


E come mai siamo giunti a questo punto? Proprio perchè non c'è informazione. Proprio perchè l'informazione è controllata e limitata. Si sa che si può molto più facilmente prendere in giro una persona ignorante che una istruita. In questo caso è molto più facile prendere in giro una persona disinformata che una informata.


L'unica via di scampo da questa indegna situazione per tutti i cittadini può essere la Rete. Lo possono essere i blog. Non ancora controllati, anche se da tempo in parlamento si sta discutendo su una restrizione della libertà di espressione persino su di essi.


Questo blog è per tutti gli amanti della libertà di espressione, e non a caso ho deciso di aprirlo il giorno di una importante manifestazione a difesa di tale libertà, indetta a Roma dalla Federazione nazionale della stampa italiana. Casualmente, cade il giorno del mio ventesimo compleanno, e questo per me non può essere che un onore.


In questo blog cercherò di parlarvi dei fatti di attualità che i tradizionali mezzi di informazione non vi dicono o vi dicono in maniera distorta.