mercoledì 22 dicembre 2010

Questa esigenza di futuro











In questi ultimi tempi la parola "futuro" è entrata prepotentemente negli argomenti di discussione dei politici, dei giornalisti, dei media, delle associazioni, dei cittadini e insomma dell'intera società, e lo dimostra anche il proliferare di sigle di partiti, fondazioni e altro, che si fregiano del termine "futuro" (basti pensare al nuovo gruppo parlamentare di Fini "Futuro e Libertà", alla fondazione "Farefuturo", o all'associazione di Montezemolo "Italiafutura") . La parola in questo caso rispecchia un bisogno profondo insito nella società prima inavvertito. Avere un futuro, ai nostri tempi, è considerato qualcosa di scontato, è una aspettativa per la quale non bisogna lottare, che non costa gravi sforzi, avere un futuro è un diritto della nostra società. Prima di avvertire questa esigenza il futuro non era preoccupazione, il futuro offriva mille possibilità, il futuro prometteva serenità. Infatti futuro è inteso come stabilità, sicurezza, tranquillità: il futuro rappresenta in fondo il raggiungimento della felicità personale.

Ma siamo giunti ad un certo punto in cui il futuro ci sembra in pericolo, il futuro è incerto, non è più sinonimo di stabilità e tranquillità: ad una intera generazione manca il futuro. Si tratta dei giovani, studenti e non, dei ricercatori, dei trentenni lavoratori precari, dei cassaintegrati, dei licenziati. Si tratta di una fascia di popolazione molto ampia che va dagli 0 ai 50 anni. Insomma chi non è arrivato alla pensione non può porre estrema fiducia nel futuro.
Questa necessità di futuro è ben simboleggiata nelle proteste dalla volontà di "puntare in alto": dalla scalata dei monumenti più importanti d'Italia da parte degli studenti, all'arrampicata sulle gru e sui tetti delle fabbriche da parte dei lavoratori. Come se quei posti rappresentassero punti di partenza, rampe di lancio, per "spiccare il volo" verso l'orizzonte.

La causa principale di questa preoccupazione per il futuro è la mancanza di lavoro. Sono recentissimi i dati che danno una disoccupazione in crescita e che soprattutto indicano come un giovane su quattro non abbia un posto di lavoro. Se da un lato la disoccupazione può essere figlia della recessione mondale e quindi frutto della congiuntura del sistema economico, la "precarizzazione" del lavoro è invece il risultato di un disegno preciso del mercato del lavoro in nome della flessibilità. Il ricorso sfrenato alla flessibilità del lavoro produce quindi instabilità del posto e insicurezza nel futuro.

Nemmeno il criterio del merito permette alla generazione senza futuro di sperare, basti pensare ai tanti cervelli in fuga all'estero, verso mete dove possono trovare facilmente occupazione e congrui compensi, e alle eccellenze della ricerca italiana, che devono proseguire i loro studi in altri Paesi che scommettono su di loro. Senza parlare della mala-abitudine italiana di piazzare parenti e conoscenti in posti di lavoro senza che questi abbiano particolari competenze. E non sto parlando della classica "raccomandazione", che in molti casi pressuppone persino un minimo di merito e competenza.

Le cause quindi di questo malessere e di questa insofferenza di un'intera generazione, è di natura politica: nel disinteresse della nostra classe politica alle esigenze di tutti i cittadini, da loro rappresentati. Si è verificata una divaricazione tra Palazzo e Piazza, e questo è dimostrato anche dalla mancanza di confronto con il popolo di studenti in protesta, confronto avvenuto solo negli ultimi giorni con il Presidente della Repubblica, organo che non ha poteri esecutivi, ma solo di garanzia.
Ecco che, alla fine, l'ostinazione e la sordità della classe politica genera malcontento, proteste, scontri e purtroppo anche violenza.

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