venerdì 14 gennaio 2011

La trappola del referendum

La strana democrazia italiana ci propone questa volta una ricetta inconsueta, con ingredienti che le conferiscono un forte sapore di ricatto. Si tratta di una votazione, di una consulatazione democratica, ma in questo caso il vincitore si sa già. E i perdenti pure. E' uno strano referendum, infatti.
Come sapete, gli operai della FIAT di Mirafiori sono chiamati a decidere se approvare o meno le condizioni dell'accordo tra l'azienda stessa e la maggior parte dei sindacati. Tralasciando il fatto che si tratti di condizioni secondo alcuni ritenute incostituzionali (come quelle riguardanti il diritto di sciopero), si presuppone almeno che alla fine dei giochi l'esito venga rispettato da ambedue le parti, anche se non è quello sperato. Ma in questo caso così non avviene: Marchionne infatti ha già fatto sapere che se il risultato del referendum non è quello da lui aspettato, chiuderà baracca e burattini e si trasferirà all'estero. Lui non può perdere.

Questo atteggiamento, irrispettoso e autoritario, offusca e invalida persino, le ragioni di cui poteva contare Marchionne per il suo SI all'accordo. Infatti, comunque sia, l'industria italiana soffre di un grave problema, che è quello della bassa produttività, la quale è anche naturale conseguenza di quel male italiano che è l'assenteismo diffuso sul posto di lavoro, soprattutto nei giorni che precedono o seguono le festività. Questo punto, trattato anche nell'accordo, è un preoblema reale, che sia la politica, sia i sindacati, sia gli stessi lavoratori sicuramente sarebbero disposti a risolvere. Ma sia l'atteggiamento di Marchionne, sia alcuni altri punti più criticabili dell'accordo, sono cause di tensioni che certo non giovano ad un miglioramento delle relazioni industriali e nell'insieme di tutta l'economia italiana.

In sostanza si tratta di un referendum farsa, di una trappola, che qualunque esito proporrà, giustificherà Marchionne nel compimento delle sue azioni. Se vincesse il Si, l'ad Fiat avrebbe battuto le resistenze dei sindacati, o almeno le resistenze della Fiom, e quindi compirebbe un importante passo in avanti verso ciò che lui intende realizzare: un sistema di relazioni tra sindacati e datori di lavoro non molto dissimile da quello americano, dove il potere delle organizzazioni dei lavoratori è molto tenue. D'altro canto se prevalesse il No, porterebbe la produzione fuori dall'Italia realizzando così più facilmente i suoi obiettivi di produzione ma non solo: assesterebbe comunque una botta tale ai sindacati italiani che, resisi responsabili di questa fuga, perderebbero la loro considerazione.
In ultimo luogo Marchionne ha promesso, in caso di vittoria del Si, importanti investimenti nel polo torinese e in tutti gli altri stabilimenti, ma di questi investimenti Marchionne ne parla da tempo, intanto la Fiat negli ultimi anni non sforna nuovi modelli ma beneficia di importanti incentivi statali. Lo Stato ha sempre fatto la sua parte per sostenere la Fiat, forse anche troppo, ma sembra che la Fiat non stia facendo abbastanza per sostenere il Paese, anzi vuole tagliare la corda.

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